La tematica dell’amministrazione della giustizia in Italia non può prescindere dallo stato di effettiva tutela dei diritti e valori costituzionali, solennemente proclamati dai padri costituenti e successivamente reinterpretati alla luce delle mutate esigenze imposte dall’evoluzione storica, economica e sociale. La necessità improcrastinabile di recuperare la credibilità e la fiducia nel sistema giudiziario italiano da parte dei cittadini, che da utenti subiscono in prima persona l’intollerabile lentezza delle procedure e la conseguente compressione dei rispettivi diritti, imporrebbe una riforma o un più razionale sviluppo del nostro sistema di garanzia costituzionale.
Il sistema italiano di giustizia costituzionale è un sistema tendenzialmente accentrato, cioè affidato ad un organo ad hoc, la Corte Costituzionale, istituito allo specifico scopo di controllare il rispetto della Costituzione e, se del caso, dichiarare l’illegittimità costituzionale della legge. E’ inoltre un controllo di tipo successivo, interveniente solo dopo l’entrata in vigore della legge e ad accesso indiretto, atteso che la Corte può essere investita della questione di legittimità solo da un giudice. Conseguentemente, la scelta effettuata dal nostro ordinamento costituzionale è stata quella di recidere il cordone ombelicale tra singolo individuo e Corte Costituzionale, incidendo inevitabilmente sulla concreta garanzia di tutela dei diritti fondamentali di cui il primo risulta portatore.
Ad oggi, infatti, ove il cittadino ritenga una norma o una legge lesiva dei propri diritti costituzionalmente tutelati, dispone di un unico strumento volto alla salvaguardia degli stessi ma che inevitabilmente ne frustra le aspettative di effettiva garanzia, il ricorso incidentale alla Corte Costituzionale.
A tale organo, supremo baluardo dei diritti fondamentali dei cittadini, è riconosciuta, secondo quanto stabilito dall’art. 134 cost., la competenza a giudicare sulla conformità alla Costituzione delle leggi e degli atti aventi forza di legge statali e regionali, al fine di valutarne la legittimità.
Il controllo di legittimità sulle leggi e sugli atti ad essa equiparati non può, però, essere esercitato dalla Corte Costituzionale motu proprio, ma deve essere necessariamente richiesto in via d’azione ex art. 127 Cost. o in via d’eccezione ex art. 137 Cost., in combinato disposto con gli artt. 1 L. 1/1948 e 23 L. 87/1953.
Tralasciando, il procedimento in via d’azione (o principale), il quale, ex art. 127 Cost., attiene esclusivamente ai rapporti tra Stato e Regioni e alla lesione delle rispettive sfere di competenza in ambito legislativo, la nostra analisi si sposta sul ricorso in via d’eccezione (o incidentale), quale “arma” a disposizione del cittadino contro leggi e norme incostituzionali.
All’uopo giova precisare, che l’art. 1 Legge 1/1948 stabilisce che “la questione di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge della Repubblica, rilevata d’ufficio o sollevata da una delle parti nel corso di un giudizio e non ritenuta dal giudice manifestamente infondata, è rimessa alla Corte costituzionale per la sua decisione”.
Ciò presuppone che, affinché il cittadino possa valersi del diritto di accesso al sistema di giustizia costituzionale, mediante ricorso incidentale, occorre che sia già pendente un giudizio durante il quale, in qualità di parte, lo stesso possa sollevare la questione de qua, indicando le disposizioni legislative che, a suo avviso, violano la Costituzione, oltre che le disposizioni della stessa o delle leggi costituzionali, che si assumono violate, così definendo il “thema decidendum” della domanda, trasposto nella successiva ed eventuale ordinanza di rimessione alla Corte.
A fronte di tale istanza, il giudice innanzi al quale è proposta, esaminata preventivamente la possibilità di superare i dubbi di costituzionalità attraverso un’interpretazione “adeguatrice” della disposizione di legge, che renda la stessa conforme ai principi costituzionali e valutata la fondatezza e la rilevanza della questione, potrà respingere la stessa, con possibilità per la parte di ripresentarla all’inizio di ogni grado ulteriore del processo, ex art. 24 L. 87/1953, ovvero accoglierla, sospendendo il giudizio in corso e rimettendo con ordinanza gli atti alla Corte Costituzionale.
Al giudice sono dunque riconosciute due funzioni concorrenti, filtrare le richieste provenienti dalle parti costituite nel processo, tendenti ad ottenere la rimessione della questione di costituzionalità alla Corte, al fine di valutarne la serietà e la diretta incidenza sulla risoluzione della causa, nonché agire esso stesso direttamente ed indipendentemente da qualsiasi richiesta, rimettendo alla Corte leggi della cui conformità alla Costituzione ritenga di poter dubitare.
Ciò ha valorizzato negli anni il ruolo del giudicante e dell’iniziativa a questi riconosciuta, non solo a livello diffuso, ma pure sostanzialmente esclusivo, tanto che un’eventuale insensibilità dello stesso ai nuovi valori costituzionali, e quindi uno scarso o non rilevante utilizzo dell’eccezione di costituzionalità, potrebbe causare il fallimento del sistema di giustizia costituzionale ed in particolare del giudizio sulle leggi.
Sicché, mutuando le parole di Piero Calamandrei, il vero “portiere” della Corte Costituzionale, nel giudizio in via d’eccezione, sarà sempre e comunque il giudice remittente.
Indubbiamente, allo stesso è richiesta una preparazione approfondita ed un’attenta analisi dei singoli casi e la stessa Corte Costituzionale ne ha valorizzato negli anni l’attività interpretativa adeguatrice, onde alleggerire il proprio carico, ma ciò non esclude che la decisione di recidere il cordone ombelicale tra cittadino e Corte Costituzionale incida significativamente sulla tutela dei diritti costituzionalmente garantiti.
Pertanto, l’aver scartato, quale forme di investitura della Corte costituzionale, l’ipotesi di ricorso diretto da parte del cittadino, come tale o come portatore di un interesse qualificato, delle minoranze parlamentari o di un procuratore della Costituzione ha inevitabilmente frustrato, secondo il comune sentire, le aspettative di tutela e garanzia, oltre che la diffusione e penetrazione nella società dei principi e dei valori costituzionali.
Le virtù di un ricorso diretto, già avvertite in sede costituente, si impongono in maniera inconfutabile a fronte di violazioni dei diritti fondamentali, e, più in generale, di vizi di legittimità costituzionale, che vengano prodotti direttamente attraverso fonti di rango legislativo, di fonti, cioè, per le quali è la Corte l’unico soggetto deputato ad intervenire. Il tema si congiunge, a questo punto, a quello delle «zone franche» del sistema di giustizia costituzionale e delle «strettoie» che affliggono il giudizio in via incidentale.
È pur vero che, l’introduzione di un ricorso diretto (o di un’eventuale impugnazione diretta avverso l’ordinanza di rigetto resa dal giudice a quo) potrebbe alterare, altresì, l’assetto tra giurisdizione costituzionale, chiamata a reagire contro l’attività del legislatore e giurisdizione comune, chiamata a riparare le violazioni perpetrate da altre espressioni dei pubblici poteri, comportando, al di là delle affermazioni di principio, un inevitabile svuotamento del giudizio in via incidentale, con la creazione di una sorta di quarto grado di giurisdizione.
Inoltre, il prevedibile alto numero dei ricorsi, con i conseguenti problemi organizzativi per la Corte ed il pesante rischio del crearsi di un notevole arretrato e quindi ritardo nella definizione delle cause, unitamente alle esperienze di altri Paesi, pionieri nella tutela dei diritti fondamentali, potrebbero indurre a ritenere che il ricorso diretto sia, in realtà, uno strumento essenzialmente demagogico e propagandistico, spesso volto ad atteggiamenti ostruzionistici nei confronti del potere politico.
Ciò non toglie che esista un vulnus nel nostro attuale e assai delicato sistema di garanzia costituzionale, il quale dovrebbe consentire di tutelare direttamente le posizioni di quei soggetti la cui sfera giuridica sia violata da una norma costituzionalmente illegittima.
Forse i grandi problemi che fanno guardare con interesse alla prospettiva dell’introduzione del ricorso diretto, potrebbero trovare una soluzione in un’opera di correzione delle tecniche di produzione legislativa, coerenti con il dettato costituzionale, perché, cogliendo l’insegnamento di Don Luigi Sturzo, non si può dimenticare che fondamento della Repubblica è la nostra Costituzione. Se cade dal cuore del popolo, se non è rispettata dalle autorità politiche, se non è difesa dal governo e dal Parlamento, se è manomessa dai partiti verrà a mancare il terreno sodo sul quale sono fabbricate le nostre istituzioni e ancorate le nostre libertà.