“Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”. Tale principio è contenuto nella Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva in Italia con la L. n° 77/2003 e nel terzo comma del nuovo art. 315 bis cc, inserito dall’art. 1, comma 8, L. 10.11.2012, n° 219 con decorrenza dal 01.01.2013.
Con la sentenza n° 6645 del 15 marzo 2013, sezione I civile, la Cassazione, riprendendo anche molti precedenti, ha tracciato le linee guida affinchè si possa giungere all’audizione del minore solo nei casi in cui questa sia effettivamente necessaria.
Il caso di cui si è occupata la Corte incomincia con un provvedimento di sospensione della potestà alla madre e di affidamento del minore al padre.A distanza di un anno il Tribunale per i Minorenni di Potenza revoca il provvedimento di sospensione della potestà, ma l’affidamento del bimbo resta al padre (a causa del cattivo stato di salute della madre e del fatto che la madre non aveva seguito il prescritto pecorso terapeutico presso i servizi sociali) con onere a suo carico di portare il bimbo tre volte l’anno in visita dalla madre .
La donna intende ottenere l’affido condiviso del figlio e, dunque, propone reclamo. E chiede che il minore venga sentito sul punto, in subordine chiede l’allargamento del suo diritto di visita.
La Corte non accoglie l’istanza della madre perchè potrebbe essere dannoso per il minore un diverso collocamento. La prima sezione civile ha confermato la decisione della Corte di secondo grado, avuto riguardo, innanzitutto, allo stato del bambino, le cui condizioni erano decisamente migliorate dopo il suo collocamento presso il padre, fatto documentato anche dal dirigente scolastico e dai sanitari Asl.
La Suprema Corte ha ritenuta inoportuna la richiesta di audizione della madre, in quanto il diniego di ascolto del minore, statuito dalla Corte di Appello, si era ineccepibilmente fondato sulla valutazione dell’età, delle condizioni e dei disagi già manifestati dallo stesso, quali emersi dal richiamato contesto delle risultanze processuali, anche documentali e, quindi, sulla conclusiva, seppure implicita, attribuzione di prevalenza alle esigenze di tutela dell’interesse superiore del bambino, anche a non essere ulteriormente esposto a presumibili pregiudizi derivanti dal rinnovato coinvolgimento emotivo nella controversia che vedeva contrapposti i genitori. Anche la seconda doglianza viene respinta, la Corte ritiene che la sentenza impugnata abbia esposto compiutamente le motivazioni alla base delle decisioni assunte e comunque non è possibile procedere ad un riesame del merito in sede di legittimità.
In altri termini: nell’ambito della causa di affidamento il minore non può essere ascoltato se questo lo espone ad un negativo coinvolgimento emotivo.
Gli Ermellini si erano già pronunciati sul dovere del giudice di disporre l’ascolto del minore che abbia compiuto i dodici anni di età o di età inferiore se capace di discernimento . In particolare con una pronuncia resa a sezioni Unite ( Cfr. Sent. n° 22238/2009), con la quale si afferma la doverosità dell’audizione del minore e il corrispondente obbligo per il giudice di fornire le motivazioni secondo le quali si ritiene di non procedere in tal senso. E’ necessario un motivo specifico che imponga al giudice di non procedere all’audizione, valutate tutte le circostanze specifiche del caso concreto che possano comportare un danno al minore.
Con la sentenza n° 12293/2010, inoltre, i giudici della Suprema Corte hanno statuito che la mancata audizione del figlio non può ritenersi legittimata dal mero e generico richiamo all’età, e che pertanto l’ascolto deve essere effettuato salvo che possa arrecare danno al minore.
Infine, recentemente, la Cassazione ha ribadito che il giudice deve sempre valutare se ci sia un interesse superiore del figlio minore a non essere esposto al presumibile danno derivante dal coinvolgimento emotivo nella controversia che opponga i genitori ( Cfr. Cass. Civ. , Sent. n° 13241/2011).