Sulle prerogative del Presidente della Repubblica. A proposito della sentenza n. 1/2013

Il 15 gennaio scorso sono state depositate le motivazioni della sentenza n. 1/2013 emessa dalla Corte Costituzionale, relativa al conflitto di attribuzione tra Capo dello Stato e Procura di Palermo. Il Presidente è ricorso al Giudice di legittimità per tutelare la sua figura quale garante dell’unità della Nazione e rappresentante della stessa in ossequio all’art. 87 della carta Fondamentale. Nulla quaestio su quanto sostiene la Corte circa le garanzie che vengono riservate al Capo dello Stato dalla Costituzione e sul fondamento razionale delle stesse. Tuttavia il punto dolente è un altro: come la stessa Corte espressamente afferma nelle motivazioni, esiste un vuoto normativo quantomeno sulle intercettazioni occasionali della persona del Presidente della Repubblica; tale problematica è intrecciata con l’annosa questione delle prerogative del Capo dello Stato: in particolare dobbiamo chiederci se il Presidente della Repubblica goda o meno di una immunità assoluta.

A parere della sentenza in questione sembra che il Presidente della Repubblica goda di una immunità assoluta che si estende non solo agli atti e alle esternazioni riferibili alle funzioni relative al munus ricoperto, ma anche quelle funzioni cc.dd. extrafunzionali. Il punto che molto probabilmente ha portato la Corte a percorrere strade tortuose e non troppo convincenti sta proprio in un difficoltoso inquadramento della figura del Presidente della Repubblica tra dato normativo e dato giuridicamente rilevante.

Nessuno dubita, come afferma la Corte, che il Presidente <<è stato collocato dalla Costituzione al di fuori dei tradizionali poteri dello Stato e, naturalmente, al di sopra di tutte le parti politiche; […] rappresenta l’unità nazionale non soltanto nel senso dell’unità territoriale dello Stato, ma anche e soprattutto nel senso della coesione e dell’armonico funzionamento dei poteri, politici e di garanzia, che compongono l’assetto costituzionale della Repubblica>>. La questione, dunque, è tutta incentrata sulla “costruzione” della figura della Capo dello Stato così come è stata delineata dalla Costituzione, in particolare su ciò che effettivamente rientra nella sua sfera di competenze inerenti all’esercizio delle sue funzioni o meno.

La sentenza sembra dirci che è impossibile stabilire una distinzione tra attività formali ed informali perchè perché tale ruolo non potrebbe essere esercitato senza affiancare <<ai propri poteri formali, che si estrinsecano nell’emanazione di atti determinati e puntuali, espressamente previsti dalla Costituzione, un uso discreto di quello che è stato definito il ‘potere di persuasione’, essenzialmente composto di attività informali. Le attività informali sono pertanto inestricabilmente connesse a quelle formali>>.

Ma cosa si intende per potere di persuasione? E soprattutto nei confronti di chi? Forse ci si riferisce alla possibilità, ad esempio, di mandare messaggi alla Nazione, oppure alle Camere; a sommesso ma fermo avviso di chi scrive, credo si debba parlare più propriamente di “facoltà di indirizzo”, perché me viene difficile ipotizzare un potere di persuasione nei confronti di Governo e Parlamento sulle loro rispettive funzioni. Il Presidente, infatti, nella nostra forma di governo, dovrebbe garantire essenzialmente la tenuta della società e il rispetto della Costituzione, e ha pochissimi poteri propri, come ad esempio quello di sciogliere le Camere; ma che si tratti di un potere esclusivamente presidenziale, rimane tutto da verificare e rimando alle dispute dottrinali sulla questione. Sicuramente il Presidente non è titolare né di un “potere di persuasione” né tantomeno di un “potere” o una pur semplice facoltà “di indirizzo” nei confronti del potere giudiziario, altrimenti a sostenere il contrario si andrebbe a minare non solo il principio della separazione dei poteri e l’equilibrio degli stessi, ma soprattutto le garanzie di indipendenza e di autonomia della Magistratura.

Tale aspetto rimane tuttavia sullo sfondo se andiamo ad analizzare il problema principale della questione; non sembra del tutto scontata l’impossibilità di individuare una linea di demarcazione tra la carica ricoperta dal Capo dello Stato e la sua persona fisica in senso soggettivo.

A sostenere il contrario, l’unica conseguenza possibile parrebbe quella di considerare tutti gli atti del Presidente espressione dell’esercizio delle sue funzioni, e dunque, la possibilità di rendere “illimitata l’irresponsabilità del Presidente contro la lettera delle norme costituzionali che invece circoscrive l’immunità agli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, con ciò facendo chiaramente intendere la necessità di distinguere tra atti funzionali e non funzionali”[1].

Non a caso, la Corte Costituzionale si è già espressa su un caso simile, e mi riferisco alla sentenza n. 154/04 secondo cui <<quale che sia la definizione più o meno ampia che si accolga delle funzioni del Presidente, quale che sia il rapporto che si debba ritenere esistente fra l’irresponsabilità di cui all’art. 90 Cost. e la responsabilità ministeriale di cui all’art. 89 e, ancora, quale che sia la ricostruzione che si adotti in relazione ai limiti della c.d. facoltà di esternazione non formale del Capo dello Stato, una cosa è fuori discussione: l’art. 90 della Costituzione sancisce la irresponsabilità del Presidente – salve le ipotesi di alto tradimento e attentato alla Costituzione – solo per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni>>.

Sebbene sia effettivamente complesso individuare una netta distinzione tra esternazioni formali ed informali, quantomeno ci si deve sforzare per indicare una linea di distinzione quanto più precisa possibile tra questi due concetti perché, ogni caso, gli atti che non sono esplicazione delle funzioni del Presidente della Repubblica, ove forieri di responsabilità, rimangono addebitati alla persona fisica titolare della carica, che conserva la sua soggettività e la sua sfera di rapporti giuridici senza confondersi con l’organo che pro-tempore impersona.

Dunque, non sembrerebbe proponibile la tesi dell’immunità assoluta del Presidente della Repubblica – cosa che invece sembra venir fuori dalle parole della Corte – per il solo fatto che le dichiarazioni provengano da colui il quale è investito della carica di Capo dello Stato. Inoltre, la stessa Corte, con sentenza n. 24/04, ha dichiarato illegittima la garanzia di improcedibilità in materia penale in pendenza di mandato stabilita dalla l. n. 140/03 a vantaggio delle più alte cariche dello Stato.

Non trattandosi di immunità assoluta, non credo possa essere accolta la tesi di chi sostiene che il Presidente della Repubblica non possa essere intercettato per i reati estranei a quelli di cui all’art. 90 della Costituzione; dunque, allo stato della normativa attuale (o meglio, della mancanza di norme a riguardo), sarebbero ammissibili le intercettazioni effettuate nei confronti del Presidente della Repubblica per i reati estranei all’art. 90 Cost.; e se ciò è vero, per i medesimi motivi, non si capisce perché non possano essere utilizzate intercettazioni telefoniche “casuali” e/o “indirette” in un procedimento penale in cui nemmeno la sua persona risulta essere coinvolta, sebbene non si conosca il contenuto delle intercettazioni oggetto di controversia. Inoltre, ad avviso di chi scrive, sembra veramente arduo ipotizzare, eventualmente, lo strumento dell’analogia, perché si correrebbe il rischio di garantire una piena immunità a tutti gli atti e le dichiarazioni del Presidente della Repubblica espresse in qualsiasi forma, e riferibili anche agli atti extrafunzionali.

Ciò non vuole dire, come pure molti hanno sostenuto, di ridurre le prerogative del Capo dello Stato o, peggio, equipararlo al comune cittadino, ma semplicemente rispettare l’attuale quadro normativo accanto ad una ricostruzione sistematica della questione che si sta affrontando; infatti, nella complessità del tema, questa rimane una pacifica certezza se analizziamo il dato normativo, in particolare l’art. 10 comma 1 della legge n. 219/89, laddove viene disposto che <<qualora ritenga che il reato sia diverso da quelli previsti all’art. 90 della Costituzione, il Parlamento in seduta comune dichiara la propria incompetenza e trasmette gli atti all’autorità giudiziaria>>.

È chiaro che, come ci dice anche la Corte, esiste un vuoto normativo sulla questione de qua. Urgono, dunque, interventi in tal senso per rispetto ai canoni di certezza del diritto e per impedire alla Corte di percorrere strade tortuose e improbabili per giustificare l’ingiustificabile.

 


[1] M.E. Mele, Il Capo dello Stato, in R. Orlandi e A. Pugiotto (a cura di), Immunità politiche e giustizia penale, 2005 Giappichelli, Torino, pag. 75